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lunedì 3 dicembre 2012

DEBITI DEGLI ENTI LOCALI, E’ IL MOMENTO DI AGIRE


Debito dello Stato e debito degli enti locali, stesso problema ma attenzione diversa. Si potrebbe sintetizzare con questa frase la situazione di esposizione che accomuna lo Stato centrale a tutte le amministrazioni locali, a cominciare dalle Regioni per arrivare ai Comuni con il maggiore numero di abitanti. Senza dimenticare, ovviamente, le Province, anche se quest’ultime hanno bilanci e indebitamenti complessivamente obiettivamente inferiori.

Peccato, però, che l’opinione pubblica tenda ad occuparsi prioritariamente del debito statale, senza rivolgere grande attenzione alle situazioni che caratterizzano gli enti a loro più vicini.

Ma andiamo con ordine. Il debito pubblico del nostro Paese - che ormai sfiora i 2000 miliardi di euro - ha raggiunto, da tempo e in termini assoluti, un livello insostenibile. Come si diceva in premessa, tutti ne siamo ormai consapevoli. E tutti sappiamo che da quella cifra derivano oneri finanziari a carico del bilancio dello Stato di entità rilevante. Che non possiamo permetterci.

Messa così, la situazione dei conti pubblici del nostro Paese sembrerebbe destinata ad aggravarsi ulteriormente, anche in considerazione del fatto che il livello di tassazione – diretta e, soprattutto, indiretta – a carico dei cittadini che lavorano e contribuiscono puntualmente al finanziamento del sistema pubblico non può davvero subire alcun aumento.

In realtà, la percentuale del debito pubblico a confronto del prodotto interno lordo – che supera il 120 per cento – non tiene conto dell’economia sommersa che pure caratterizza ancora, e in maniera significativa, il nostro Paese. Le cause della presenza in Italia di un’economia che sfugge alle rilevazioni ufficiali sono note: un livello di tassazione sulle imprese che non ha eguali in Europa come nel mondo e un esteso fenomeno di elusione fiscale che, a mio giudizio, incide pesantemente sulle (mancate) entrate fiscali.

Ci sarebbe, poi, da sottolineare che un fattore rilevante su questo tema è la titolarità del debito, ovvero se si tratti di investitori stranieri o italiani. In questo senso, il caso del Giappone, con un debito pubblico detenuto quasi interamente dai giapponesi, è da tenere ben presente anche quando si affronta il caso italiano.

Infine, al debito pubblico italiano è certamente da affiancare il risparmio privato, sia in termini mobiliari, sia – soprattutto – in termini immobiliari.

L’analisi del debito dello Stato - magari da punti di vista differenti - parte dunque da considerazioni che, mi permetto di dire, sono patrimonio di conoscenza comune.

Il caso degli enti locali è, invece, molto diverso nella percezione della pubblica opinione. Non vi è la manifestazione, da parte dei cittadini, di un sentimento di preoccupazione analogo a quello che viene associato alla situazione dei conti dello Stato centrale.

Prendiamo il caso della Città di Torino. Nell’imminenza della campagna per le elezioni amministrative del 2011, nell’allora mio ruolo di Coordinatore cittadino per il Pdl avevo promosso una campagna di affissioni incentrata sull’enorme debito accumulato dalle amministrazioni di centrosinistra negli anni precedenti. Un debito che, a livello pro-capite, assegnava a Torino il record di città più indebitata in Italia. Record che peraltro resiste ancora oggi: con l’aggravante dell’uscita da parte dell’amministrazione sabauda dai parametri del cosiddetto “Patto di stabilità interno” per l’anno 2011.

L’esito di quella campagna non fu dirompente presso l’opinione pubblica torinese, al contrario delle nostre aspettative. Col risultato che i torinesi decisero di premiare nuovamente, e a larga maggioranza fin dal primo turno, le forze politiche e gli esponenti di sinistra che si presentarono in continuità con le amministrazioni precedenti.

Non fummo in grado di spiegare ai torinesi i rischi derivanti da quella situazione dei conti del Comune? Forse. C’è da dire, a nostra parziale giustificazione, che non ci fu grande attenzione alla nostra iniziativa, neppure da parte dei mezzi di comunicazione locali.

Oggi, però, i nodi stanno venendo rapidamente al pettine: la Giunta Fassino, per rispettare nel 2012 i vincoli del Patto di stabilità e scongiurare, così facendo,  le conseguenze di un suo “sforamento” per due anni consecutivi (su tutte, lo scioglimento anticipato del mandato amministrativo in corso), nei mesi scorsi ha aumentato al massimo le tariffe comunali, dai ticket per il parcheggio al prezzo dei biglietti del servizio di trasporto pubblico. E, soprattutto, ha stabilito le aliquote IMU più alte d’Italia. Il tutto, per aumentare il più possibile le entrate, gravando ancora una volta e in modo sensibile sulle tasche dei cittadini.

Queste manovre, tuttavia, si sono ben presto rivelate insufficienti a mettere in sicurezza i conti. Tanto che l’Amministrazione comunale ha successivamente deciso di mettere sul mercato quote significative delle proprie società municipalizzate. Operazione che, proprio in queste settimane, vede il Comune impegnato a chiudere – oserei dire, disperatamente – le trattative per la vendita di azioni delle società potenzialmente più remunerative, come il Gruppo Torinese Trasporti (GTT) e Trattamento Rifiuti Metropolitani (TRM), la società cioè che si occupata di progettare e costruire (e che gestirà nei prossimi anni) l’inceneritore a servizio dei territori della provincia di Torino. Senza dimenticare le aste per le auspicate - e auspicabili, dal nostro punto di vista - dismissioni del patrimonio immobiliare ancora nelle disponibilità della Città.

Insomma, pur con un po’ di ritardo anche i torinesi si stanno rendendo conto che la scelta – fatta anche e soprattutto dalle amministrazioni locali di centrosinistra – di ricorrere a sempre maggiore indebitamento per “chiudere” i bilanci ha generato, e promette di generare anche in futuro, conseguenze molto negative per i loro budget famigliari.

Una maggiore attenzione alla qualità e al rigore delle scelte politiche a livello locale, si impone. Non da domani, ma da ieri.

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