Debito
dello Stato e debito degli enti locali, stesso problema ma attenzione diversa.
Si potrebbe sintetizzare con questa frase la situazione di esposizione che
accomuna lo Stato centrale a tutte le amministrazioni locali, a cominciare
dalle Regioni per arrivare ai Comuni con il maggiore numero di abitanti. Senza
dimenticare, ovviamente, le Province, anche se quest’ultime hanno bilanci e
indebitamenti complessivamente obiettivamente inferiori.
Peccato, però, che l’opinione pubblica tenda ad occuparsi prioritariamente del debito statale, senza rivolgere grande attenzione alle situazioni che caratterizzano gli enti a loro più vicini.
Ma andiamo con ordine. Il debito pubblico del nostro Paese - che ormai sfiora i 2000 miliardi di euro - ha raggiunto, da tempo e in termini assoluti, un livello insostenibile. Come si diceva in premessa, tutti ne siamo ormai consapevoli. E tutti sappiamo che da quella cifra derivano oneri finanziari a carico del bilancio dello Stato di entità rilevante. Che non possiamo permetterci.
Messa
così, la situazione dei conti pubblici del nostro Paese sembrerebbe destinata
ad aggravarsi ulteriormente, anche in considerazione del fatto che il livello
di tassazione – diretta e, soprattutto, indiretta – a carico dei cittadini che
lavorano e contribuiscono puntualmente al finanziamento del sistema pubblico
non può davvero subire alcun aumento.
In
realtà, la percentuale del debito pubblico a confronto del prodotto interno
lordo – che supera il 120 per cento – non tiene conto dell’economia sommersa
che pure caratterizza ancora, e in maniera significativa, il nostro Paese. Le cause
della presenza in Italia di un’economia che sfugge alle rilevazioni ufficiali
sono note: un livello di tassazione sulle imprese che non ha eguali in Europa
come nel mondo e un esteso fenomeno di elusione fiscale che, a mio giudizio, incide
pesantemente sulle (mancate) entrate fiscali.
Ci
sarebbe, poi, da sottolineare che un fattore rilevante su questo tema è la titolarità
del debito, ovvero se si tratti di investitori stranieri o italiani. In questo
senso, il caso del Giappone, con un debito pubblico detenuto quasi interamente
dai giapponesi, è da tenere ben presente anche quando si affronta il caso
italiano.
Infine,
al debito pubblico italiano è certamente da affiancare il risparmio privato,
sia in termini mobiliari, sia – soprattutto – in termini immobiliari.
L’analisi
del debito dello Stato - magari da punti di vista differenti - parte dunque da
considerazioni che, mi permetto di dire, sono patrimonio di conoscenza comune.
Il
caso degli enti locali è, invece, molto diverso nella percezione della pubblica
opinione. Non vi è la manifestazione, da parte dei cittadini, di un sentimento
di preoccupazione analogo a quello che viene associato alla situazione dei
conti dello Stato centrale.
Prendiamo
il caso della Città di Torino. Nell’imminenza della campagna per le elezioni
amministrative del 2011, nell’allora mio ruolo di Coordinatore cittadino per il
Pdl avevo promosso una campagna di affissioni incentrata sull’enorme debito
accumulato dalle amministrazioni di centrosinistra negli anni precedenti. Un
debito che, a livello pro-capite, assegnava a Torino il record di città più
indebitata in Italia. Record che peraltro resiste ancora oggi: con l’aggravante
dell’uscita da parte dell’amministrazione sabauda dai parametri del cosiddetto
“Patto di stabilità interno” per l’anno 2011.
L’esito
di quella campagna non fu dirompente presso l’opinione pubblica torinese, al contrario
delle nostre aspettative. Col risultato che i torinesi decisero di premiare
nuovamente, e a larga maggioranza fin dal primo turno, le forze politiche e gli
esponenti di sinistra che si presentarono in continuità con le amministrazioni
precedenti.
Non
fummo in grado di spiegare ai torinesi i rischi derivanti da quella situazione
dei conti del Comune? Forse. C’è da dire, a nostra parziale giustificazione,
che non ci fu grande attenzione alla nostra iniziativa, neppure da parte dei
mezzi di comunicazione locali.
Oggi,
però, i nodi stanno venendo rapidamente al pettine: la Giunta Fassino, per
rispettare nel 2012 i vincoli del Patto di stabilità e scongiurare, così
facendo, le conseguenze di un suo “sforamento”
per due anni consecutivi (su tutte, lo scioglimento anticipato del mandato
amministrativo in corso), nei mesi scorsi ha aumentato al massimo le tariffe
comunali, dai ticket per il parcheggio al prezzo dei biglietti del servizio di
trasporto pubblico. E, soprattutto, ha stabilito le aliquote IMU più alte d’Italia.
Il tutto, per aumentare il più possibile le entrate, gravando ancora una volta
e in modo sensibile sulle tasche dei cittadini.
Queste
manovre, tuttavia, si sono ben presto rivelate insufficienti a mettere in
sicurezza i conti. Tanto che l’Amministrazione comunale ha successivamente
deciso di mettere sul mercato quote significative delle proprie società
municipalizzate. Operazione che, proprio in queste settimane, vede il Comune
impegnato a chiudere – oserei dire, disperatamente – le trattative per la
vendita di azioni delle società potenzialmente più remunerative, come il Gruppo
Torinese Trasporti (GTT) e Trattamento Rifiuti Metropolitani (TRM), la società
cioè che si occupata di progettare e costruire (e che gestirà nei prossimi
anni) l’inceneritore a servizio dei territori della provincia di Torino. Senza
dimenticare le aste per le auspicate - e auspicabili, dal nostro punto di vista
- dismissioni del patrimonio immobiliare ancora nelle disponibilità della
Città.
Insomma,
pur con un po’ di ritardo anche i torinesi si stanno rendendo conto che la
scelta – fatta anche e soprattutto dalle amministrazioni locali di
centrosinistra – di ricorrere a sempre maggiore indebitamento per “chiudere” i
bilanci ha generato, e promette di generare anche in futuro, conseguenze molto
negative per i loro budget famigliari.
Una
maggiore attenzione alla qualità e al rigore delle scelte politiche a livello
locale, si impone. Non da domani, ma da ieri.
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